Comunità di Vallata tra Chiesa Madre, Cappellanie e Regia Dogana - Sergio Pelosi — I figli del Mag.co Dottor Don Carmine Pelosi.

Capitolo VII
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7.1 I figli del Mag.co Dottor Don Carmine Pelosi.

        MICLELE PELOSI fu il primo figlio di Don Carmine Pelosi e Donna Caterina Patetta e la mammana che lo fece nascere il 15 Aprile l 1758 fu Vincenza Rosata, così come scrisse sul Registro delle nascite l’Arcipresbiter Don  Donato Zamarra .In chiesa fu battezzato con il nome di “Michael Archangelus” ed il giorno del suo battesimo arrivò la procura del Signore Napoletano Ecc.mo Marchese di Trevico, portata dal suo agente Don Carlo Vegas, ed i due testimoni furono l’Ill.mo Dottor Don Nicola Freda di Bisaccia e sua moglie la Signora Maria Antonia Barra di Avellino. Don Michele decedette il 12 Dicembre 1812. Come suo padre seguì gli studi giuridici a Napoli e, rientrato in sede a Vallata, come spesso accadeva all’epoca, sposò colei che il padre aveva deciso dovesse essere la sua consorte, Ippolita Silla, figlia dell’U.J.D Don Giuseppe Silla, suo amico di sempre e compagno di interminabili battute di caccia che abitava in prossimità della Chiesa Madre di Vallata. Iniziò la sua vita professionale ad Andretta, grazie all’interessamento della zia Donna Isabella, il cui marito, il Dottor Don Joseph Nicola Alvino, era il responsabile della Mastrodattìa del Principe di Sant’Angelo tra le cui città c’era pure quella di Andretta e fu così che fece di tutto perché suo nipote divenisse il responsabile(= l’affittatore) della Mastrodattìa della città in cui abitava, per tre anni che andavano fino alla fine del 1782 ed allora, con la moglie stabilì la sua dimora nella città di Trevico.  Ma, ben presto, dopo aver avuto un figlio di nome Carmine, tra i due sposi calò un gran gelo, acuitosi quando Don Michele passò seri guai giudiziari tanto da essere relegato nelle carceri Doganali di Foggia. Da allora, i loro rapporti furono inesistenti e vi fu una totale incomunicabilità tra loro e, dopo quell’incredibile esperienza, passata nelle carceri di Foggia, Don Michele non volle più saper nulla della moglie. Unico e grande suo problema fu il piccolo Carmine nato dal loro matrimonio che, ben presto, fu mandato a studiare al Seminario ad Avellino. Con suo figlio i rapporti non furono dei migliori, tanto che i 3 Agosto 1793, dopo aver messo in discussione con lui il problema della sua eredità, fece un 1° testamento in forma di atto pubblico dal Notaio Andrea Sauro, con il quale decise che l’unico suo erede universale sarebbe stato Bartolomeo suo fratello. Poi, il 26 Gennaio 1799, Don Michele, fece di tutto per annullare il suo matrimonio con la sua prima moglie e vi riuscì perché, dopo aver rimosso ogni impedimento ed aver ottenuto il permesso dalla Curia di Sant’Angelo dei Lombardi, dal momento che risultava già sposato una prima volta, ottenne il permesso di potersi risposare in Chiesa dove quel giorno l’Arcipresbiter Don Giuseppe Maria Pali  coronò il suo sogno di sempre. Vitantonia Magaletta, era una sua vecchia conoscenza e vicina di casa verso la quale aveva da sempre avuto una particolare simpatia, ma quel rapporto, fin quando fu vivo suo padre, fu fortemente ostacolato perché era la figlia del Mag.co Notaio Don Fabio con il quale aveva interrotto tutte le relazioni che pure, durante un certo tempo, erano state ottime ma compromesse per via di alcuni contenziosi. Don Michele, quando, il figlio Carmine gli comunicò l’intenzione di voler concludere la seconda parte dei suoi studi al Seminario di Lucera, non si oppose, ma mai avrebbe immaginato che la vocazione  lo potesse portare a divenire Padre Carmelo. Poi, per completare il suo percorso di fede e desiderando seguire il suo destino che il Padre, quello vero, aveva in serbo per lui, chiese, seppur giovanissimo, di essere inviato come missionario in Africa ed arrivato in Kenia, dopo qualche giorno dal suo arrivo, morì di malaria a Maggio del 1803. Pertanto, Don Michele, sapendo di non poter più contare sul suo unico figlio il 20 Novembre ed il 31 Dicembre del 1806, chiedendo a Foggia la censuazione delle terre fin lì assegnate, lo fece a nome di suo fratello minore Bartolomeo, esibendo quel testamento del 1793 fatto dal marito di sua cugina Maria Cristina, il notaio Andrea Sauro nel quale c’era scritto la seguente frase: “ Istituisco per mio Erede Universale e particolare in proprietà ed usufrutto il mio fratello germano Signor Don Bartolomeo Pelosi” . Questo è stato quanto rinvenuto in occasione del rinnovo del contratto di censuazione di quei terreni, allorquando la Giunta del Tavoliere chiese un certificato del  notaio Don Giuseppe Novia, figlio di Celestino di Vallata che quale conservatore degli atti del notaio Sauro, ribadì quel concetto di passaggio avvenuto tra i fratelli. Quando Don Michele si risposò, la funzione avvenne nella Chiesa Madre ed i due testimoni furono Don Ciriaco Magaletta e Don Domenico Lillo ed a quanto pare fu un felice matrimonio, perché ad allietare la loro vita ci pensò l’arrivo di una bimba di nome Miriam Rosa e subito dopo Giuseppe. Quest’ultimo, purtroppo, morì il 3 Ottobre 1810, pertanto, la sua unica ed adorata  figlia fu Miriam Rosa, che all’età di 6 anni rimase orfana del padre che morì prematuramente nel 1812, all’età di 54 anni.  Il 20 Luglio 1826, all’età di vent’anni, Miriam Rosa figlia del quondam Mag.co Don Michele sposò Don Francesco Netta, figlio del Mag.co Don Vincenzo Netta, ed in Chiesa quel giorno la celebrazione del suo matrimonio fu fatta, oltre che dall’Arciprete Don Felice Villani, dallo zio sacerdote Don Giuseppe Pelosi, fratello del defunto padre e da quel matrimonio nacque Michelino, che divenne medico e Sindaco di Vallata, prima del primo Cavalier Biagio Gallicchio. Don Michele era molto conosciuto a Foggia presso la Regia Dogana per un suo stile inconfondibile e garbato che aveva nel formulare le sue richieste di affitto e quant’altro atteneva il suo status di locato della Locazione di Vallecannella, anzi, quando si presentava lui per qualche causa o per pagare qualche perizia tecnica e c’era bisogno di qualche avvocato, finanche gli scrivani reali sapevano che il Mag.co don Michele Pelosi, come aveva del resto fatto suo padre, richiedeva avvocati o notai provenienti soltanto da Napoli e che fossero abilitati allo scopo nella Regia Dogana, e non furono poche le volte che tornò nuovamente a Foggia, perché quelli venivano in giorni prestabiliti e lui che ne faceva esplicita richiesta al Giudice ed al Presidente, tornava da Vallata appositamente in quei giorni in cui quelli erano presenti. Nella Dg. II busta 638 fasc.13181, ho trovato la causa che riguardò il suo arresto, dai contenuti, piuttosto drammatici, in cui comparve il Mag.co Dottor Don Michele Pelosi, figlio dell’U.J.D Don Carmine contro il notaio Giovanni Acocella di Andretta. La causa si componeva di ben 13 documenti, ed il fatto fu che sin dal 1779 Don Michele prese in affitto ad Andretta, la Mastrodattìa di quella città per un triennio che avrebbe dovuto andare dal 1779 al 1782, per una cifra di 645 ducati. La Mastrodattìa di Andretta era lo studio dove si lavoravano gli atti ed in quell’anno in cui l’affitto, vi lavoravano 3 notai, 6 scrivani e 3 contabili, venivano redatti tutti gli atti di compravendita, le successioni, i contratti d’affitto e quant’altro atteneva a quell’ordine di cose. Quello studio di Mastrodattìa era sotto il controllo del Marchese di Trevico, considerato nella fattispecie come utile Signore e Governatore di Andretta. Ma, Don Michele era giovane e senza molta esperienza, per cui si servì della fideiussione del notaio Giovanni Acocella che già lavorava in quello studio da vari anni. Fino al mese di Agosto questi si comportò bene e gli diede soddisfazione, ma al secondo anno, in modo molto iniquo, non solo non pagò il restante quadrimestre di 115 ducati con il relativo frutto che sarebbe dovuto andare a lui come affittuario, ma riscosse anche il primo quadrimestre del 1780, adducendo scuse pretestuose, sottrasse tutti i libri contabili ed il relativo frutto, ma affermò pure che li aveva dati all’ Ecc.mo Proprietario di quella terra. Questo fu quanto riportato nell’atto redatto e firmato dal notaio Iannelli di Andretta. In altri documenti della stessa causa, si riportò che il notaio Acocella era anche il luogotenente fiduciario della Regia Dogana di Foggia in terra d’Andretta e quindi era un profondo conoscitore del sistema. Più volte gli fu chiesto dalla Regia Corte di Foggia di portare i conti, ma questi trovò sempre mille pretesti. Fu così che fu allora arrestato Don Michele Pelosi per una “pretesa inquisizione” e tradotto nelle carceri Doganali di Foggia il 17 Aprile 1781. Ma, da quello stesso giorno iniziarono le azioni criminali contro il Notaio Acocella, promosse dall’Ufficiale Giudiziario don Angelo Polacchi che era in quel di Foggia l’uditore giudiziario della Dogana, ma il notaio era irreperibile e fu considerato contumace. Ma, dopo 4 mesi arrivò, per mezzo del Presidente della Real Camera della Sommaria di Napoli nonché Agente della Dogana di Foggia, Don Filippo Mazzocchi, una richiesta del Re di Napoli Ferdinando II, che avocava a sé tutto l’incartamento riguardante il caso Pelosi Michele, pregando altresì il Mazzocchi di ritrovare l’Acocella e poi: “ lo si forzi a che restituisca i libri dei conti”. Sull’incartamento c’era scritto: ”Al momento, per la convenienza del caso, sia trasmesso tutto il processo a Napoli”. Il Presidente Don Filippo Mazzocchi, obbedì immediatamente a quel comando ed assicurò Sua Maestà che avrebbe fatto tutto quanto in suo possesso per rinvenire il contumace notaio Acocella. Nel frattempo, su richiesta del Doganiere di Foggia si chiese al Comune di Andretta, di redigere uno stato patrimoniale di Michele Pelosi che operava lì, e che s’informassero pure a Trevico, dove questi risultava casato. Nel documento ricevuto c’era scritto che da informazioni prese risultava che Pelosi Michele allo stato attuale era povero, sia ad Andretta sia a Trevico. C’era apposto il sigillo del Comune di Andretta, il Notaio era sempre Iannelli, la giunta Comunale era così composta 1) Il Sindaco Nicola Lucenzio 2)Antonio Scarano capo eletto 3) Nicola Acocella eletto 4) Domenicantonio Rizzo eletto. Poi, il 12 Aprile 1782, anche grazie all’interessamento del Marchese di Trevico e conte di Potenza, sollecitato più volte da suo padre, arrivò un’altra lettera del re Ferdinando II che rimise tutta la storia di Don Michele nelle mani di Don Filippo Mazzocchi e chiese che gli desse un suo giudizio in merito, anche perché, nel frattempo, aveva ricevuto una Supplica di scarcerazione del Pelosi(carta n.8) che gli allegava. Don Filippo Mazzocchi con tutta calma scrisse a Sua Maestà: ”Don Michele Pelosi è stato truffato dal Notaio Acocella e già sto provvedendo a fare tutto quanto in mio possesso per assicurarlo alla giustizia, anzi ho già fatto una notifica con intimazione alla famiglia che si presenti entro 6 giorni, dalla ricezione della stessa, alla Regia Dogana, perché oggi, 17 Novembre 1782 è ancora contumace”. Intanto, in carcere, il 29 Agosto Don Michele aveva già appreso la prematura fine di suo padre che non aveva potuto riabbracciare neanche per l’ultima volta, lui che era innocente, truffato e cosa che lo mortificò ed umiliò tanto fu quel certificato nel quale appariva come povero, lui che aveva dato tante soddisfazioni al padre e che era vissuto in condizioni agiate rispetto ai suoi coetanei dell’epoca. Questa considerazione che mi sento di esprimere si evince anche dal tenore della Supplica al Re.  Dopo alcuni giorni, il 6 Dicembre dello stesso anno comparve una lettera allegata agli atti che era stata chiesta dal Doganiere, scritta in latino da parte della Curia di Andretta dove si raccontava tutta la vicenda, esattamente come più volte raccontata da lui al Giudice inquirente, ed in basso a sinistra, con una grafia leggermente più piccola c’era scritto “Ad oggi l’Acocella è ancora contumace”. Il 18 Dicembre 1782, Don Michele Pelosi, assai prostrato per l’esperienza, prese la 1° Diligenza per Ariano Irpino. Molto bello è il tenore della Supplica a Sua Maestà il Re, perché da una parte Don Michele espresse tutta la sua devozione alla Corona, usando frasi del tipo: ”prostrato al vostro trono, umilmente espongo quanto segue…..” e poi, con molta dignità, accusò il suo fideiussore senza mai nominarlo per nome e cognome, proferendo queste parole: ” quegli, m’addossò dei delitti e pregiudizi tipici dei figli che si macchiano d’iniquità” e precisò che il pregiudizio economico a lui arrecato per il solo 1780 fu di Ducati 395 e che prima di essere incarcerato aveva incontrato il Fideiussore, ma: “non prestava orecchio a quando più volte lo invitai a presentar li conti e con varie tergiversazioni mi burlava e così oggi io  mi trovo a fare questa Supplica a Sua Maestà il Re, senza STREPITO  GIUDIZIARIO, per essere messo in libertà, dopo essere stato tanto umiliato in quel documento, dove appaio POVERO e CARCERATO, e questo tanto mi umilia e da qui non ho alcun modo di poter far altro che chiedere la grazia”. Mi piace immaginare che per lui e per tutti in famiglia, anche se stretti nel lutto che li aveva di recente colpiti, fu un Natale quanto meno sereno. Nella Dg. II serie, busta 788, fasc. 16086 nel 1788 Don Michele Pelosi si era ripreso assai bene dai suoi acciacchi ed infortuni, poiché ritornò presso la Regia Dogana e chiese che si facesse chiarezza circa una turbativa che si stava verificando a suo danno circa l’affitto dell’erbaggio della Mezzana denominata delle Perazze nella città di Vallata. Portatosi a Foggia assieme al suo amico Alessandro la Quaglia della stessa terra, espose con dovizia di particolari quanto gli stava accadendo nella sua città d’origine e, in virtù di essere un antico locato, pretese che il Giudice si esprimesse in merito alla faccenda in quella sede competente, e così letteralmente raccontò: “Sin dal giorno 6 Settembre 1788 io, figlio del quondam Dottor Don Carmine Pelosi presi, ad estinzione di candela, assieme al mio amico Alessandro, in affitto perpetuo dall’Università di  Vallata, un sesto della Mezzana delle Perazze e stipulammo e ci obbligammo, Penes Acta, a che i cittadini di Vallata potessero avere il diritto di pascolarci gli animali ad un prezzo stabilito”. Ma, così continuava Don Michele : ”sia a me che al mio socio si continuano a dare  vari cimenti e si creano turbamenti nell’affitto,  allora se il Governatore di Vallata o chiunque altro avesse da mostrare delle carte da far valere su tale sesta parte della Mezzana delle Perazze, è pregato di farle vedere presso la Regia Dogana di Foggia, oppure tacciano per sempre”. Seguì la copia dell’atto con il quale i due affittatori erano riusciti ad accaparrarsi quell’affitto perpetuo, redatto dal Notaio Benedetto Guida e fu specificato come avvenne quell’episodio. Innanzi a quel notaio comparvero sia il Mag.co Don Michele Pelosi che Alessandro La Quaglia di Vallata i quali con solenne giuramento, dichiarando di essersi presentati spontaneamente e non per forza, dichiararono di aver ascritto a loro nome la sesta parte della Mezzana delle Perazze e specificarono che, dal momento che era stato bandito l’affitto dell’erbaggio che faceva parte dell’Università della loro città, ad ultima estinzione di candela il prezzo rimase fissato in ducati duecentodue ed allora entrambi comparvero nella Ducal Corte di Vallata e con una loro formale offerta si obbligarono a pagare ducati duecentotrentacinque, grana sessantasei e cavalli otto, cioè molti ducati in più dell’ultima estinzione di candela. Però, il patto che il Mag.co Don Michele, che parlava ed agiva in nome e per conto dell’amico, fu che loro due avrebbero dato ducati duecentodue subito, ma i restanti non appena gli avessero riparato e ricondotta l’acqua detta Macchitella nella Mezzana in questione. Poi, Don Michele, facendosi portavoce di Alessandro La Quaglia, disse che già dal 1° del corrente mese di Settembre 1788, fino all’Agosto 1791, se la proposta veniva accettata, loro due soci erano disponibili e cioè “possiamo arrivare anche a 240 ducati, però l’affitto di tipo perpetuo, deve essere pagato non annualmente ma ogni triennio, perché così noi due possiamo vantare maggiori diritti circa quel contratto d’affitto, e se la proposta viene accettata,  il Sindaco potrà incassare da subito i settecentoventi ducati in tre anni”. Il Sindaco, vedendo che l’offerta era conveniente per l’Università di Vallata la concesse e stipulò immediatamente il contratto ma, dopo aver adempiuto a tutte le formalità il Sindaco fu sanzionato e redarguito dai suoi consiglieri. Allora, il Mag.co Don Michele ed Alessandro La Quaglia, volendo cautelare il Sindaco Mauro di Gennaro che era un loro amico da sempre a Vallata, s’impegnarono  sia per loro che per i successori  e di loro spontanea volontà, a pagare in anticipo ogni anno, alla data del 20 Settembre i ducati 240 in contanti, in monete d’argento, in maniera anticipata, con l’impegno che l’avessero fatto anche i loro successori e non continuarono nel loro giudizio in sede locale. I testimoni, oltre al Sindaco, furono Don Ciriaco Gallo, seguito dal mastrodatti Benedetto Guida ed il Notaio che redasse l’atto di conciliazione fu Don Saverio Crincoli, che aggiunse che “in mancanza di pagamento questa Università si può rifare sulle pigioni delle case di Napoli di Don Michele Pelosi”. Seguì la firma “Io Michele Pelosi” ed il segno di croce per La Quaglia Alessandro. Seguì poi anche una procura che i due fecero a Don Blasium  Memoli perché persona della somma probità e lo costituiscono procuratore  per le cause tanto civili quanto criminali, nonché per tutto ciò che riguardava la manutenzione dell’erbaggio della mezzana o per proporre suppliche o per proporre gravami o per azioni di nullità. Firmò l’atto il Notaio Crincoli.

CONTRATTO

        Detta Mezzana è stata concessa all’Università di Vallata ed agli uomini di detta terra per ”SPECIAL PRIVILEGIO DEL RE FEDERICO”, confermato dall’invincibile “IMPERATORE CARLO V” per uso dei bovi domati ed aratori, così li detti Pelosi e La Quaglia siano tenuti a condurre detti pascoli, nel corso dell’affitto, nel rispetto delle usanze, in maniera che resti salvo ed illeso il comodo per i bovi suddetti tanto necessari per l’agricoltura affinché avessero un pascolo se non abbondante, almeno sufficiente e venisse in questa guisa ad osservarsi in parte se non il tutto anzidetto grazioso, special privilegio che ridonda un gran utile e vantaggio per la popolazione.
        Che essi affittatori Pelosi e La Quaglia non debbano introdurre in detta Mezzana animali forestieri, praticando in questi la dovuta moderazione eccetto il caso che gli animali dei cittadini non giungessero a fare un pieno corrispondente all’estaglio ed all’incomodo che si ha in detto affitto (cioè devono essere preferiti obbligatoriamente gli animali del luogo)
        Che detti affittatori non debbono esigere più di 10 carlini l’anno per ogni singola vacca e non più di 15 carlini per ogni giumenta.
        Sono obbligati  a custodire bene l’erbaggio della Mezzana e non permettere l’ingresso delle pecore, delle capre e dei porci
        Che il Giudice della Bagliva ed il baglivo non debbano avere nessuna ingerenza nelle cause che avvengono per danni nella Mezzana predetta atteso che la pena spetta tutta agli affittatori e che solo possono inserirsi quando saranno chiamati dai medesimi affittatori.
        Al fine di poter meglio intendere quei concetti espressi in quel contratto, occorre spiegare cosa fosse la Bagliva. Questa era una specie di magistratura inferiore composta da un baglivo di nomina regia per le terre demaniali e di nomina baronale per le terre feudali. I baglivi svolsero anche il compito di polizia urbana e rurale, riscuotevano vari diritti, eseguivano multe ai proprietari di animali che avessero arrecato danno ai fondi altrui o da quanti avessero fatto uso di falsi pesi e misure. Le baglive furono abolite nel 1808, allorquando vi fu l’avvento del Decurionato, trasformandosi in guardie campestri.
        Don Michele Pelosi era un gran appassionato di zootecnia come tutti i suoi avi e, nel 1803, dalla Scuola Agraria di Torino fece arrivare a Foggia un ariete spagnolo comperato per 10 zecchini, come compare su un documento- lettera di cambio di ducati in zecchini presso la Regia Dogana e non trascurò di introdurre nel suo allevamento, sangue proveniente da fattrici di gran pregio, così pagò 8 zecchini per una femmina proveniente sempre dalla stessa istituzione; entrambi i soggetti furono incisi su lastra di rame di proprietà dello scrivente. Infatti, all’epoca c’era, un bestiame poco selezionato e per quanto riguardava la specie ovina, si mischiavano pecore di tipo pagliarole dell’Abruzzo con pecore a coda larga provenienti dall’Africa, ed è sorprendente come questo nostro predecessore vallatese sia stato così lungimirante e tecnicamente preparato da indirizzare il suo allevamento ovino verso il tipo più rustico e resistente che si conoscesse all’epoca, il Merinos spagnolo. 
        Le pecore dei fratelli Michele e Bartolomeo Pelosi avevano sicuramente bisogno di molta rusticità perché da Vallata andavano sino alla Posta di Monterocilo ad Ascoli, di lì arrivarono prima alla Posta Pignatelli vicino Cerignola poi a Torre Alemanna, vicino all’attuale Borgo Libertà e non erano rari i casi in cui si spostavano fino a Minervino nelle Murge, accompagnati  dagli amici la Quaglia e d’Errico di Vallata.
        GIUSEPPE PELOSI fu il secondogenito di Don Carmine nato il 10 Ottobre 1765, a cui furono aggiunti i nomi di Bartolomeo ed Arcangelo, mentre la mammana che lo fece nascere fu Domenica Villano e, secondo la consuetudine dell’epoca, fu il predestinato alla vita sacerdotale. Il giorno del suo battessimo nella Chiesa di San Bartolomeo, con la funzione tenuta dall’Arcipresbiter don Giuseppe Maria Pali i compari furono il Dottor fisico Don Felice di Netta e Donna Maria Colomba di Netta, con la procura del Marchese di Trevico. Nel 1791, dopo essere diventato un Dottore in legge come suo padre aveva desiderato, divenne prima un Diacono e poi fu consacrato sacerdote nella Chiesa Madre Ricettizia di San Bartolomeo a Vallata, dopo aver ricevuto la possibilità di farlo grazie al giudizio positivo ottenuto dalla Curia di Bisaccia. Ma, Don Giuseppe era un amante della vita in senso lato e fu assai noto a Vallata per esser venuto meno più volte ai doveri di castità e di ciò se ne fece sempre pubblico vanto. In linea con tutti i suoi antenati fu sempre amante di cani e della caccia, oltre ad essere un gran intenditore di armi. Nel 1790 partecipò quale protagonista ed ideatore principale ad una ”sediziosa unione di gente di Vallata” in cui fu scoperto che assieme a Pietro Netta e Pompilio Garruto aveva preparato un’imboscata contro l’Ecc.mo Duca di Gravina ed i suoi armigeri, avendoli pure pubblicamente oltraggiati e minacciati di morte. Così come riferì Cogliano26, fu disposta subito un’inchiesta in proposito ed accertate le responsabilità, dovendosi procedere all’arresto, il Re dispose che ad occuparsene fosse la Curia di Benevento e non quella di Bisaccia, accusata di faziosità complice dei rei, avendone addirittura promosso sacerdote il diacono Dottor Don Giuseppe Pelosi di Vallata. Così, nell’Archivio di Stato di Napoli, nel fondo Affari Ecclesiastici b. 1241 del Febbraio 1791, per questo delicato caso si invitò alla massima riservatezza e discrezione, senza pubblicazione alcuna del bando di arresto: queste le modalità con cui i Capiruota criminali, data la natura ecclesiastica dei rei, invitarono la curia di Benevento a procedere. Il 15 Gennaio 1796, così come riportato nell’Archivio di Stato di Napoli, in un documento (Pandetta Nuova b. 4  f. 667)  sottoscritto dal Notaio Don Francesco Saverio Magaletta figlio del quondam Don Fabio, partecipò alle conclusioni relative al Reverendo Capitolo della Chiesa Madre circa la possibilità di ricostruire l’Altare Maggiore di San Bartolomeo per il quale fu d’accordo che si facesse così com’è ancora oggi con una balaustra di marmo nella zona frontale. Quando suo fratello maggiore morì prematuramente nel 1812, fu lui che pensò agli affari di famiglia, appoggiando in tutto il fratello Don Bartolomeo ed a lui si deve il matrimonio combinato il 21 Settembre 1811 tra il nipote Carmine figlio di Don Bartolomeo e Donna Maria Caterina Gallicchio. Nell’atto di morte n. 76 (Foto 24), si apprese che morì a Vallata, alle 4 di notte del 16 luglio 1828 nella sua abitazione in Strada Fontana quando il Sindaco della città era Don Giuseppe Vito Batta. Innanzi a lui si presentarono i due testimoni che ne attestavano la morte, tal Michele Salerno di anni 50 contadino e Fedele Cirino di anni 36 di professione vaticale (= valutatore di animali). Morto anche Don Giuseppe, gli interessi di famiglia furono portati avanti da suo fratello Don Bartolomeo che, in tutti gli atti trovati presso l’Archivio di Stato di Foggia, prima di ogn’altra cosa, anteponeva che era il figlio del quondam U.J.D Don Carmine e fratello ed erede del Mag.co notaio Don Michael Pelosi, mentre, da tempo, suo cugino Vito Pelosi, nato il 10 luglio 1766, dagli zii Nicolò e Vittoria Novia, implicato nei moti insurrezionali di Nola del 1820, non dette più notizie di sè.

Bartolomeo Pelosi  (1770 -1848) + Donna Fortunata Pelosi fu Domenico

   
Carmine Pelosi(1791- 1856) + Donna Maria Caterina Gallicchio
   
Gaetano Pelosi (1836-1886) + Donna Erminia Araneo di Melfi
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Carmine Pelosi + Vincenza.Melchionna    Vincenzo Pelosi  Donna Marietta + Enrico Araneo
(1857-193……)   (+1°matr.Teodora Maffia)
(+ 2° matr.Immacolata De Pasquale)
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Dr. Andrea Pelosi di Vallata (1881-1959)   Don Enrico Pelosi( 1897 -1970)
(medico veterinario ed uff. di cavalleria)   (+1°matr.Erminia Pelosi)→ Carmine Pelosi
(+Acerra Carmela)   (+2°matr.Giulia Maffia)       (+Losco Lidia)

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